Gli inibitori della pompa protonica : Quali rischi?

Gli inibitori della pompa protonica noti anche come Prazoli, sono un gruppo di molecole la cui azione principale è una pronunciata ( dalle 18 alle 24 ore ) riduzione dell’acidità dei succhi gastrici.

Il gruppo degli inibitori della pompa protonica è il successore degli antistaminici H2 (come la ranitidina ) e sono più diffusi di questi ultimi per la loro maggiore efficacia.

Gli inibitori di pompa protonica sono farmaci sicuri ed efficaci, a patto di assumerli in maniera appropriata. 

Agiscono bloccando la produzione di acido da parte dello stomaco. Trovano indicazione nella cura della gastrite e dell’ulcera, associate o meno all’ Helicobacter Pylori, della malattia da reflusso gastroesofageo ( e delle sue complicanze Esofago di Barrett ), e anche nella prevenzione del danno da farmaci antiinfiammatori non steroidei (FANS).

Nonostante alcune differenze a livello farmacologico, gli inibitori della pompa protonica non sembrano avere profili di efficacia clinica significativamente diversi tra loro. Omeprazolo, esomeprazolo, lansoprazolo, Pantoprazolo non riportano differenze sostanziali, sia in termini di efficacia sia di possibili effetti collaterali.

Gli inibitori di pompa protonica

Sono farmaci molto ben tollerati, anche se negli ultimi anni il loro profilo di sicurezza è stato messo in discussione da vari studi. La scelta tra i diversi IPP dovrebbe quindi tenere conto anche del rapporto costi/benefici, orientandola in direzione delle molecole più economiche a parità di efficacia (come il lansoprazolo ).

Gli inibitori della pompa protonica bloccano in modo stabile l’enzima H+/K+-ATPasi (idrogeno-potassio adenosintrifosfatasi). Noto come pompa protonica, dalla cui azione dipende il rilascio di acido cloridrico da parte delle cellule parietali. Questo crea un’inibizione efficace sulla secrezione acida.

Come funzionano

Dato il loro meccanismo di azione, questi farmaci bloccano la pompa protonica. Nonostante diversi stimoli che possono attivarla sia in condizioni di digiuno, sia in seguito ad assunzione di cibo, risultando così molto efficaci nel contrastare l’iperacidita gastrica indipendentemente dalle sue cause.

Nel micro-canale dove il pH è basso, questi inibitori vengono ionizzati e trasformati in molecole che stabiliscono dei legami covalenti col gruppo tiolico (SH) della cisteina della sotto-unità della pompa. Così facendo la pompa è inibita in modo irreversibile. La ripresa dell’attività di pompaggio necessita la produzione di nuove pompe. Mediamente il tempo per la sintesi di nuove pompe è tra le 18 e le 24 ore. Un’unica dose permette un’inibizione di circa 24 ore.

Effetti indesiderati

Questi medicinali sono generalmente ben tollerati. La maggioranza degli effetti indesiderati sono leggeri e transitori : diarrea, cefalea, flatulenza, dolori addominali, stordimenti/vertigini, eruzioni cutanee, palpitazioni cardiache. In certi casi gli effetti indesiderati spariscono con l’interruzione del trattamento. Potrebbe verificarsi un effetto osteoporotico dopo un utilizzo prolungato, aumentando il numero di fratture del collo del femore. Da tenere in considerazione durante il trattamento con inibitori della pompa protonica è la possibilità che essi interferiscano con altri farmaci (antibiotici, psicofarmaci, contraccettivi, anticoagulanti, ecc ). Possano limitare l’assorbimento intestinale di alcuni nutrienti (in particolare la vitamina B12 ).

Il loro utilizzo va valutato con cautela in caso di insufficienza epatica, insufficenza renale, osteoporosi, gravidanza e allattamento.

L’uso cronico degli inibitori della pompa protonica e reazioni avverse significative

Sebbene questi farmaci siano in generale considerati sicuri e ne sia stato approvato l’utilizzo a lungo termine, sono stati sollevati alcuni dubbi sulla loro sicurezza quando vengono utilizzati per lunghi periodi di tempo. Negli ultimi anni, potenziali eventi avversi come un aumentato rischio di infezioni respiratorie, infezioni da Clostridium e fratture sono stati identificati come associati all’uso a lungo termine dei PPI.

Carenza di Vitamina B12

Le evidenze attualmente disponibili sull’associazione tra utilizzo di PPI e carenza di vitamina B12 derivano da studi di piccole dimensioni. Si tratta quindi di dati non univoci. In attesa che studi randomizzati di grandi dimensioni dimostrino con certezza che l’assunzione a lungo termine dei PPI si associa ad una riduzione dei livelli di vitamina B12 clinicamente significativa, il monitoraggio dei livelli della vitamina non è raccomandato.

Carenza di Ferro

Molti studi hanno evidenziato che una diminuita secrezione acida gastrica, specialmente se prolungata, può determinare un malassorbimento di ferro clinicamente significativo.

In uno studio condotto su 109 pazienti con sindrome di Zollinger-Ellison trattati continuativamente per 6 anni con omeprazolo o per 10 anni con altri inibitori della secrezione acida gastrica, non è comparsa alcuna riduzione delle riserve di ferro endogene o carenza di ferro. Quindi la carenza di ferro sembra essere più un rischio teorico e il monitoraggio dei livelli di ferro non è necessario. Va sottolineato che la sindrome di Zollinger-Ellison è una condizione rara e questi risultati non possono essere trasferiti a tutti gli utilizzatori di PPI. Sono necessari ulteriori studi sulla sicurezza a lungo termine dei PPI per indicazioni più comuni, come la malattia da reflusso gastroesofageo.

Carenza di calcio e rischio di osteoporosi

Studi condotti nell’animale e nell’uomo hanno evidenziato che la terapia con PPI potrebbe ridurre l’assorbimento di calcio e la densità ossea. D’altra parte i PPI potrebbero ridurre il riassorbimento osseo per inibizione enzimatica. Diversi gli studi hanno valutato i risultati di questi effetti contrastanti.

In uno studio randomizzato condotto in donne con più di 65 anni, una settimana di terapia con 20 mg di omeprazolo ha ridotto in modo significativo l’assorbimento di calcio. In un altro studio di grandi dimensioni condotto in Danimarca, la terapia con PPI è stata associata ad un aumentato rischio di fratture. Anche in un altro studio si è evidenziato un aumentato rischio di fratture d’anca nei pazienti trattati con PPI per più di 1 anno. Il rischio era significativamente aumentato nei pazienti trattati a lungo termine con dosaggi elevati.
Non ci sono pero evidenze sufficienti per raccomandare il monitoraggio di tutti i pazienti in terapia a lungo termine.

Infezioni da Clostridium

Questi medicinali sono stati oggetto di numerose polemiche negli ultimi tempi, infatti uno studio recente condotto dall’University College London e dall’Università di Dundee , ha rilevato che le persone che ne fanno uso hanno fino a quasi 4 volte più probabilità di essere colpiti dal Campylobacter.

Altre infezioni enteriche  

L’attività battericida della barriera gastrica sembra dipendere dal basso pH. Dai vari studi è emerso che una prolungata inibizione dell’acidità gastrica rappresenti un fattore di rischio per infezioni gastrointestinali gravi. Dati recenti hanno indicato un aumento del rischio di gastroenterite acuta e polmonite con l’utilizzo di farmaci che inibiscono la secrezione acida gastrica.

Polmonite

Vari studi hanno confermato l’associazione tra soppressione acida e polmonite, sopratutto in pazienti critici. I dati disponibili avrebbero evidenziato che l’uso di inibitori della secrezione acida non riduce il rischio di sanguinamento nei pazienti chirurgici ad alto rischio a fronte invece di un aumento del rischio di infezioni polmonari. Tuttavia i risultati devono essere interpretati con cautela perché si tratta di studi retrospettivi e di piccole dimensioni.  Sebbene si sia ipotizzato che la soppressione della secrezione acida gastrica sia responsabile dell’aumentato rischio di infezioni, non va dimenticato che nessun PPI mantiene il pH gastrico > 4 per 24 ore. Tutti i PPI in commercio mantengono il pH gastrico > 4 per 9-15 ore.
Finché non saranno disponibili studi prospettici di grandi dimensioni, il rischio di infezioni di vario genere e di polmoniti associato all’uso a lungo termine di PPI non può essere stabilito con certezza.

Polipi del fondo gastrico e cancro allo stomaco 

La potenziale associazione tra poliposi del fondo gastrico e uso dei PPI è da lungo tempo oggetto di dibattito. Lo sviluppo di displasia nei polipi del fondo gastrico durante il trattamento con PPI è un’evenienza rara, nonostante il riscontro di polipi sia frequente.

Una soppressione consistente dell’acidità gastrica porta a un’ipergastrinemia in quasi tutti i pazienti. Nei ratti, una prolungata soppressione dell’acidità gastrica porta a un’iperplasia delle cellule enterocromaffini, da cui può originare un carcinoide gastrico. Questo però non è mai stato documentato in altre specie.

Nell’uomo un’iperplasia è stata osservata nel 10-30% degli utilizzatori cronici di PPI. Questo è più frequente nei pazienti H. pylori positivi con un marcato aumento dei livelli di gastrina. Nei pazienti in terapia a lungo termine con PPI non sono stati descritti displasia o carcinoma invasivo e il trattamento per lunghi periodi non costituisce un’indicazione per il monitoraggio di questi pazienti.
Da un’analisi del database di medicina di base Olandese emerge che su 27.328 pazienti con almeno 1 prescrizione di PPI, in 8 anni 45 hanno sviluppato un cancro gastrico rispetto ai 22 casi su 358.000 soggetti che non hanno usato PPI e sono stati seguiti per almeno 1 anno.

Cancro del colon 

I pochi dati disponibili sulla associazione tra trattamento prolungato con PPI e carcinoma del colon provengono da 3 studi caso-controllo. In base ai risultati non emerge alcun aumento del rischio di sviluppare un cancro del colon nei pazienti che fanno uso di questi farmaci, né sulla crescita o grado istologico dei polipi adenomatosi.
Anche se esistono presupposti teorici e dati in vitro che suggeriscono la possibilità che elevati livelli di gastrina si associno ad un aumento del rischio di carcinoma del colon retto, non si è evidenziato un aumento clinicamente significativo del rischio di cancro

Demenza

Uno studio ha avanzato l’ipotesi di un possibile ruolo di questi farmaci nel rischio di ammalarsi di demenza, che pero è stata successivamente smentita da almeno quattro studi. 

Conclusioni

Come tutti gli altri farmaci, anche i PPI dovrebbero essere utilizzati per indicazioni e in dosi appropriate. Gli inibitori di pompa protonica sono farmaci efficaci e ben tollerati e le osservazioni degli effetti avversi si basano su studi la cui qualità dei dati è piuttosto debole. Quando prescritti appropriatamente, questi farmaci garantiscono benefici che superano i potenziali effetti avversi. Comunque è necessario minimizzare l’utilizzo non necessario e inappropriato di questi farmaci per ridurre i potenziali rischi associati.

Pubblicato da bellezzaebellezza

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